Gratuità, prezzo in-finito

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Giotto, Il dono del mantello a un povero, Assisi, Basilica superiore, 1290-92 circa

La povertà genera e fa circolare la ricchezza

Non si può ridurre Francesco d’Assisi (1182-1226) a una definizione e a una sola dimensione perché la chiave ermeneutica che lo ‘spiega’ è la sua conversione al Vangelo (= Gesù Cristo): la sua conversione riconoscente e grata dall’io all’altro/ Altro. Egli dal Vangelo è particolarmente attratto dall’umiltà-povertà come verità dell’Amore (Dio) che si manifesta donandosi nell’Incarnazione e nella Passione. La ragione del fascino di Francesco che sorprende e convince molti di ogni spazio e di ogni tempo è il suo essere diventato cristiano, in un’epoca in cui apparentemente e ufficialmente tutti lo erano – tranne gli ‘infedeli’.

La povertà non è quella stoica o ascetica ma, come afferma san Bonaventura, un segno di libertà dai ‘viluppi’ del mondo (Apologia pauperum), secondo la logica che “il tutto è superiore alla parte” (papa Francesco, Evangelii gaudium, 234-237). Quando Francesco si spoglia davanti al vescovo di Assisi e ai concittadini attoniti, realizza il suo sogno: liberarsi dei beni per essere libero di amare e servire tutti, seguendo Gesù di Nazareth come unico modello di vita. «Dalla sua scelta di povertà scaturì anche una visione dell’economia che resta attualissima. Essa può dare speranza al nostro domani, a vantaggio non solo dei più poveri, ma dell’intera umanità. È necessaria, anzi, per le sorti di tutto il pianeta, la nostra casa comune, “sora nostra Madre Terra”, come Francesco la chiama nel suo Cantico di Frate Sole» (Messaggio di papa Francesco per l’evento Economy of Francesco).

Francesco d’Assisi, uomo evangelico, conosce l’ambivalenza e l’ambiguità dell’uso del denaro: forte è il rischio di trasformare il denaro da mezzo per il ben-essere individuale e collettivo, a fine, cioè idolo che chiude ai fratelli. E quando si ritrova con la sua fraternità, Francesco distingue sempre tra la miseria, condizione indegna e umiliante, e la povertà evangelica intesa come distacco dalle cose e perciò come precondizione della libertà, della carità e della gioia. Due sono le novità che il francescanesimo ha introdotto nell’orizzonte socio-culturale dell’epoca: la prima è che usare dei beni è necessario, possedere è superfluo; la seconda è che la povertà-gratuità, per essere concretamente praticata come virtù sociale, deve essere sostenibile e durare nel tempo, anche attraverso apposite istituzioni finanziarie. Il radicale divieto ai frati di possedere denaro nasce, oltre che dall’amore per Gesù Cristo povero ed umile, dalla valutazione economica della relazionalità: quanto vale, in termini monetari, l’opera di chi dispensa l’amore di Dio? La gratuità non è associabile a un prezzo nullo, ma piuttosto a un prezzo infinito.

La povertà, gratitudine e gratuità di Francesco è la vera ricchezza, perché permette di scoprire e gustare il mistero delle relazioni interpersonali e il valore dei beni relazionali.

La gratuità è la cifra, cioé il trascendentale dell’humanum e deve ispirare ogni attività umana che voglia essere ‘profondamente’ umana. La logica della gratuità e quella del mercato non sono in contrapposizione nella visione francescana, perché la gratuità è grazia, dono, non solo per chi riceve atti di gratuità, ma anche per chi li compie. È la gratuità che l’economia capitalistica non conosce e che Francesco ci ricorda di mettere al centro dell’economia perché sia autenticamente umana e fraterna. Non c’è economia fraterna senza gratuità. È la gratuità che ci fa fratelli veri e non opportunisti. Paradossalmente è la carenza di gratuità (rapporti umani genuini) a portare all’accumulo e allo spreco. È riflettendo sulla gratuità che si coglie il passaggio dal possesso all’uso.

Gratuità, prezzo in-finito