BONAVENTURA: la vera sobrietà
“Preferite sempre le opere necessarie alle meno utili, le migliori alle buone e le ottime alle migliori”
Teologo e filosofo, uomo d’azione e di contemplazione, Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca. – 1274) riunisce lo spirito indagatore di sant’Agostino con l’affettività coinvolgente e l’ardore serafico di san Francesco. Un pensiero sapienziale che riesce a vedere, valorizzare e promuovere l’armonia a cui è chiamata la realtà dove “tutto è connesso”.
Viene riconosciuta l’importanza del suo contributo sul piano economico, per aver anticipato il valore di legame, un concetto che verrà ripreso, all’interno della teoria classica del valore d’uso e del valore di scambio. Il messaggio bonaventuriano arriva direttamente allo spirito dell’uomo anche negli aspetti riguardanti la vita sociale. Dal Cantico delle Creature deriva l’idea che il mondo è il capolavoro immaginato e voluto da Dio, visibilizzazione del suo amore gratuito. L’analisi del termine avarizia (cupiditas) nel senso classico di ‘avidità’, radice di tutti i mali, dopo il sorgere delle nuove forme di ricchezza, serve a Bonaventura per misurare gli atti economici secondo che siano rivolti all’acquisizione dei beni necessari alla vita o a quelli superflui. Il necessario è correlato al valore morale dell’uomo rigenerato dal battesimo, il superfluo al non-valore dell’uomo naturale, schiavo delle cose mondane. L’avarizia, perciò, diventa un concetto paradigmatico con il quale si misura in concreto ogni atto mondano per giudicarne la legittimità morale. Di qui l’importanza di questo concetto anche ai fini della storia del pensiero economico. Bonaventura lo collega a quello dell’usura, del profitto e della mercatura. Nel De superfluo egli sostiene che vi è una relazione diretta e stretta, univoca e funzionale tra avarizia e superfluo.
La teoria del “necessario”, essenziale per la stabilità dell’ordine sociale, non può restare senza conseguenze sugli altri aspetti e istituti della vita economica: proprietà privata, commercio, credito. Paradossalmente diventa criterio di un’economia della sobrietà, che favorisce un salto qualitativo dall’economia monastica all’uso razionale e relazionale delle risorse per il ben vivere della comunità nel territorio.