Francescani e alchimia, un inizio in pompa magna
Nel corso del Duecento, quando l’interesse per l’alchimia, a partire dalle prime traduzioni in latino dei testi arabi, aveva ormai pervaso a vari livelli la cultura occidentale, i francescani mostrano in questo campo una sorta di primato.
Leggendo il Liber de prelato di fra Salimbene de Adam ci si rende conto facilmente della precocità dell’interesse dei frati per l’alchimia e per le tecniche di preparazione delle acque medicinali. Salimbene attribuisce a Frate Elia (1180 ca. - 1253), compagno di san Francesco, la colpa di praticare “esperimenti” sospetti proprio ad Assisi, nel palazzo fatto costruire da Gregorio IX accanto alla basilica sepolcrale del Santo. Ad Elia, straordinario uomo di fede e di governo succeduto al Santo quale Ministro generale dell’Ordine, la tradizione ha del resto attribuito varie opere alchemiche, compresi alcuni singolari ed enigmatici componimenti poetici.
Contemporaneo di Frate Elia è il predicatore francescano Bonaventura da Iseo (sec. XIII), a cui la tradizione unanimemente attribuisce l’imponente Liber Compostelle, opera enciclopedica duecentesca di alchimia e farmacologia, il cui più antico manoscritto si conserva nella biblioteca del Sacro Convento. Su di lui ci soffermeremo parlando dell’alchimia medicale.
Nel panorama dell’“alchimia francescana” del Duecento un posto particolare spetta però in primis al celebre fra Ruggero Bacone (1214 ca. – 1294): filosofo, scienziato e teologo inglese, pensatore dall’ingegno multiforme, si è occupato di quasi ogni aspetto dello scibile del suo tempo. La scienza per lui non è solamente un indispensabile strumento di comprensione delle dinamiche del creato, ma è anche la base per un efficace intervento su di esso in vista del bene comune. Il rapporto tra scienza, morale e teologia per il francescano inglese è strettissimo, e la pratica alchemica non è dunque un’azione qualsiasi, ma un operare che cristianamente è al servizio del prossimo, di Dio e del creato tutto. Nello specifico l’opera di Bacone è certamente da considerarsi come uno snodo cruciale dell’alchimia occidentale sotto molti aspetti, in primis a lui sembra si debba il primo collegamento reale tra sapere alchemico e sapere medico-farmacologico, tanto che l’alchimia si potrebbe dire instrumentum salutis. Il suo nome fu spesso usato come pseudonimo da autori di scritti alchemici. Importante personaggio coevo di Bacone fu fra Paolo di Taranto, di cui parleremo nella sezione sull’alchimia metallurgica.
Ragioni di spazio concedono di menzionare appena di sfuggita personaggi peraltro importanti. Il primo è senz’altro Raimondo Lullo (1265-1315): filosofo, mistico e teologo catalano, probabilmente terziario francescano, elaborò un’originale ars combinatoria che impressionò persino pensatori come Giordano Bruno e Leibniz. Il suo nome compare spesso come autore di un “corpus” di complessi trattati di alchimia. Tuttora pubblicate, anche recentemente, sono le opere di fra Giovanni da Rupescissa (1310 ca. – 1365 ca.), francescano spirituale, alchimista e profeta, autore del celebre De consideratione quintae essentiae rerum omnium; su di lui torneremo più avanti. Anche a fra Ramon Gaufredi (m. 1310), Ministro generale dell’Ordine dal 1289 al 1295, la tradizione manoscritta attribuisce alcune opere alchemiche. Attivo a cavallo dei secc. XIII-XIV è infine Arnaldo da Villanova (1240-1311), medico, filosofo e teologo insigne, vicino alla corrente degli spirituali francescani; a partire dalla metà del sec. XIV vengono a lui attribuite alcune opere alchemiche.
L’interesse di illustri francescani per l’alchimia prosegue nel corso dei secoli, anche al di là dell’“aurea” Età Medioevale. Ci limitiamo a ricordare l’enigmatico Libro della Santa Trinità (Buch der heiligen Dreifaltigkeit) del francescano tedesco fra Ullmannus, primo testo di alchimia scritto in tedesco e uno dei più celebri trattati alchemici illustrati del Quattrocento; qui la Trinità e la passione di Cristo sono poste in relazione allegorica col processo alchemico, mentre il ciclo iconografico si basa su frequenti metafore cristologiche e mariane. Nel secolo successivo si distingue l’opera dell’erudito fra Giano Lacinio, francescano calabrese di cui esistono scarse notizie, che nel 1546 dà alle stampe una delle prime enciclopedie alchemiche d’Età moderna.