Alchimia: alcune coordinate di riferimento

Jan Van der Straet, Il laboratorio dell'Alchimista (1570-72), Firenze Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I

1.1. Jan Van der Straet, Il laboratorio dell'Alchimista (1570-72), Firenze Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco.

1.2. Sezione del Ripley Scroll, sec. XVI.jpg

1.2. Sezione del Ripley Scroll, sec. XVI.

1.3. Laboratorio alchemico, in Heinrich Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aeternae, Hamburg 1595.jpg

1.3. Laboratorio alchemico, in Heinrich Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aeternae, Hamburg 1595.

Basta consultare i cataloghi delle biblioteche storiche, e quelli di varie odierne case editrici, per constatare quanto sia stato ed ancora sia vivo l’interesse per l’alchimia. Ma cosa si intende con questo termine?

Se partiamo da un primissimo approccio ai testi, l’alchimia si presenta come un sapere teorico-pratico volto alla manipolazione e trasformazione della materia, un corpus di conoscenza considerato spesso agli antipodi rispetto a quello insegnato nelle Università, e trattato non di rado con “acerba ostilità”, tanto, in un tempo lontano, dai cosiddetti campioni dell’aristotelismo scolastico quanto, più tardi, dai nuovi cultori della moderna scienza sperimentale (1.1). 

In realtà il sapere alchemico si è manifestato nel corso dei secoli e nelle varie culture in vesti diverse, più o meno variamente sgargianti, passando dall’esser concepita come mera protochimica manipolatoria, sino a divenire una complessa disciplina pratico-spirituale, volta, oltre che a mutare e perfezionare minerali, metalli e sostanze vegetali o animali, a trasformare lo spirito di colui che in buona fede la pratica (1.2).

Questo fenomeno così complesso e variegato ha incuriosito e attirato nel tempo scienziati, storici della chimica e della scienza, storici della filosofia e delle idee, filosofi, storici delle religioni, psicologi, studiosi di esoterismo. Un importante tentativo di valorizzazione e comprensione del sapere alchemico, tra i più noti ed originali, è ad esempio quello compiuto in chiave psicologica, simbolica ed archetipica da C.G. Jung. Per Jung la tradizione alchemica sarebbe un complesso insieme di teorie che porterebbe i connotati di una corrente religiosa più che di una qualsivoglia “pseudoscienza”. Le prerogative empirico-scientifiche sarebbero, per colui che persegue l’ideale alchimistico della perfezione, assolutamente congiunte a quelle religiose. La struttura di fondo che informa l’alchimia risiederebbe dunque nel noto archetipo della coniunctio oppositorum, da intendersi quasi in opposizione al dualismo proprio della tradizione scientifica e filosofica occidentale. Persino il Nobel Wolfgang Pauli, sotto alcuni aspetti vicino a Jung, aveva rilevato nell'alchimia spunti interessanti proprio in virtù della peculiare caratteristica dell’impegno spirituale vincolato all’indagine sulla materia. Pensatori contemporanei come Luciano Parinetto e Françoise Bonardel hanno inoltre tratto ispirazione dall’alchimia per una critica della razionalità politica e scientifica occidentale, basata sulla separazione tra mente e natura e sulla concezione della realtà naturale come mero oggetto di dominio.

Un importante tentativo di chiarificazione si deve a H.J. Sheppard (1981), con la sua definizione comparatistica delle pratiche alchemiche che, cogliendone l’elemento comune, potesse essere applicata alle diverse tradizioni: “è l’arte di liberare parti del cosmo dall’esistenza temporale e di raggiungere la perfezione che per i metalli è l’oro, per l’uomo la longevità, poi l’immortalità ed infine la redenzione. La perfezione materiale veniva ricercata mediante l’azione di un preparato (la pietra filosofale per i metalli; l’Elixir di vita per gli esseri umani), mentre il perfezionamento spirituale risultava da una qualche forma di rivelazione interiore o da una illuminazione di altro tipo (per esempio la gnosi nelle pratiche ellenistiche e occidentali)” (1.3).

Quando fa il suo ingresso l’alchimia nell’Occidente cristiano? Sebbene fossero presenti diverse forme di trattazione sui minerali, i metalli e la loro lavorazione – come lapidari, enciclopedie e ricettari tecnici - solo dal sec. XII si diffondono le prime traduzioni dall’arabo di testi alchemici, a partire dal Liber Morieni de compositione alchemiae, tradotto nel 1144: la parola alchimia vi compare una sola volta, mentre i termini usati per indicare l’arte alchemica sono res, opus, maius opus.

Importante notare che la tradizione alchemica giunge in Occidente più o meno insieme all’intero corpus aristotelico. Dallo studio in particolare del quarto libro dei Meteorologica, che tratta delle proprietà fisico-chimiche dei metalli, verrà a crearsi un collegamento tra conoscenze alchemiche e quelle che potremmo dire propriamente filosofico-naturalistiche, come testimonia ad esempio il Liber secretorum alchimiae di Costantino Pisano, studente di medicina all’università di Bologna nel sec. XIII. L’alchimia dunque, nel passaggio tra Medioevo ed Età Moderna, era considerata da molti nel novero delle discipline scientifiche.

Alchimia: alcune coordinate di riferimento