Le “tipologie iconiche” nei manoscritti del Sacro Convento

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7.1. Schema riassuntivo di componenti e composti (ms. 19, c. 86r).

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7.2. Schema riassuntivo nell'esemplare della Biblioteca del Sacro Convento di Raimondo Lullo, Arbor scientiae, Lione 1635.

7.3. Disegno aggiunto all'esemplare della Biblioteca del Sacro Convento di Raimondo Lullo, Arbor scientiae, Lione 1635..jpg

7.3. Disegno aggiunto all'esemplare della Biblioteca del Sacro Convento di Raimondo Lullo, Arbor scientiae, Lione 1635.

7.4. Trattato sulla pietra filosofale ad uso dell'infermiere, dall'Archivio storico del Sacro Convento di S. Francesco..jpg

7.4. Trattato sulla pietra filosofale ad uso dell'infermiere, dall'Archivio storico del Sacro Convento di S. Francesco.

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7.5. Prologo del trattato di cui all'immagine precedente.

7.6. Disegno dell'Erba Lunaria, di utilizzo alchemico, dall'Archivio storico del Sacro Convento di S. Francesco..jpg

7.6. Disegno dell'Erba Lunaria, di utilizzo alchemico, dall'Archivio storico del Sacro Convento di S. Francesco.

Nel corpus di manoscritti alchemici del Sacro Convento è quasi totalmente assente la tipologia iconica simbolico-allegorica, sebbene non manchino (ad es. nel ms. 19) componimenti poetico-allegorici in versione quasi integrale – come il De lapide philosophico di Lambsprinck, del sec. XVI – che nelle edizioni a stampa sono spesso accompagnati da un imponente apparato iconografico.

Troviamo invece una straordinaria testimonianza delle altre due tipologie iconiche sopra richiamate. C’è inoltre una certa prevalenza di immagini costituite da elementi geometrici, figure ruotanti su cerchi concentrici, lettere e numeri, schemi di vario tipo che avevano, così almeno si può presumere, una funzione principalmente didascalico-illustrativa e di supporto alla memoria (7.1).

Per capire la peculiarità dei manoscritti assisiati, è bene tener presenti alcuni fattori: il tipo di testi presenti nei manoscritti; l’ambiente ed il luogo in cui i codici sono stati prodotti e custoditi; i motivi per i quali si può presumere siano stati letti e studiati.

Per quanto riguarda i testi che venivano trascritti, accanto a riconoscibilissime “opere latine” attribuite ad autori celebri, troviamo in molti casi scritti in volgare italiano, brevi testi anonimi sulla pietra filosofale e non poche ricette in cui vengono date indicazioni pratiche per la preparazione di varie sostanze a partire da oli, acque e sali, alcune efficaci anche in campo medico. Nell’insieme spicca da un lato la presenza massiccia di opere legate alla tradizione che si ispira a Raimondo Lullo, compresi ampi stralci commentati del celebre Testamentum (ad es. i mss. 19, 63 e 77), e dall’altro lato un gruppo di opere riconducibili al nome di Geber, per molto tempo ritenuto autore dell’opera di alchimia metallurgica più importante del XIII secolo (soprattutto i mss. 70 e 78).

L’interesse dei francescani nei confronti del pensiero di Raimondo Lullo è attestato non solo da questi manoscritti, ma da numerose altre testimonianze. Probabilmente del pensiero di questo autore li attraeva soprattutto il sogno di una clavis universalis, ovvero una logica universale veloce e semplice da apprendere, utile al dialogo con gli "infedeli" in vista della loro conversione. È dunque comprensibile come, in un’epoca in cui non erano ancora a disposizione le armi della filologia, molti frati si dedicassero alla lettura dell’intero “corpus lulliano”, senza dubitare dell’autenticità delle opere alchemiche attribuite al filosofo catalano.

Di questa lettura trasversale recano traccia anche i libri a stampa custoditi al Sacro Convento. Non è forse un caso che nei fogli di guardia di un’edizione seicentesca dell’Arbor scientiae proveniente dalla Porziuncola, siano presenti interessanti schemi esplicativi lulliani – insieme ad una sgargiante illustrazione a colori -, realizzati forse per esigenze di studio e memorizzazione da qualche frate del convento che aveva un po’ di dimestichezza con questi temi (7.2 e 7.3; cf. 2.4.3 e 2.4.4). Non si può dunque escludere, trattandosi dello stesso arco cronologico, un collegamento tra la presenza di queste aggiunte figurative al testo stampato e le immagini presenti nei manoscritti.

Per quanto riguarda l’ambito di produzione dei testi, esso va ricercato negli interessi dei frati che vivevano nei conventi francescani del territorio di Assisi. In Età moderna si assiste infatti al potenziamento, alla riorganizzazione e alla proiezione verso l’esterno delle grandi farmacie conventuali. Pare dunque fondato supporre che alla base della produzione e custodia dei codici alchemici vi fosse un interesse pratico legato all’assistenza infermieristica ed alla produzione dei farmaci. Troviamo d’altronde frequenti richiami all’alchimia anche fra gli appunti dei frati infermieri conservati nell’archivio del Sacro Convento (7.4; 7.5; 7.6).

Infine, questi testi, oltre all’utilità pratica per infermieri e speziali, potevano certamente suscitare interesse nei frati eruditi, ovvero quelli che svolgevano la funzione di maestri di filosofia e teologia, che spesso non mancavano di dedicarsi, in maniera un po’ eclettica, allo studio di quella che un tempo si chiamava filosofia naturale.

Da queste considerazioni appare chiaro il motivo dell’assenza – a questo punto giustificata – della prima tipologia iconica, ovvero quella immaginifico-simbolica e invece la massiccia presenza delle altre due. Ai frati interessava soprattutto comunicare efficacemente quella scienza che ritenevano fondamentale per la comprensione dei segreti della natura in vista di una ricaduta operativa come poteva essere, ad esempio, la produzione di farmaci.

Le “tipologie iconiche” nei manoscritti del Sacro Convento