La mano di Giotto

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Fig. 1 - Biblioteca del Sacro Convento, ms. 328, c.1r (1351-1400)

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Fig. 2 – L'Obbedienza, particolare (G. Menghinella, 2021)

di Elvio Lunghi

Sullo scorcio del XIII secolo la decorazione delle pareti sopra la tomba di san Francesco, dovuta agli stessi pittori attivi nella navata, salvo l’immagine della Vergine con il celebre ritratto del santo dipinto da Cimabue, fu gravemente danneggiata per l’apertura di due cappelle sulle testate dei transetti, entrambi volute dal cardinale Napoleone Orsini, che fece fare per sé la cappella di San Giovanni e per il fratello Giovanni la cappella di San Nicola. La cappella di San Nicola fu la prima a essere costruita, al termine del conclave che portò all’elezione di Celestino V, "colui  che fece per viltade lo gran rifiuto” collocato da Dante tra color che vissero senza infamia e senza lodo” tra gli ignavi alle porte dellInferno. Dal racconto di Jacopo Stefaneschi sembra anzi che fosse proprio la morte improvvisa del fratello di Napoleone Orsini a convincere nel 1294 i cardinali a trovare un accordo intorno al nome di Pietro da Morrone, sostenuto da Carlo II d’Angiò. Napoleone Orsini fece costruire la cappella negli anni immediatamente successivi e la fece decorare con storie di san Nicola, portando ad Assisi un pittore che in tempi recenti è stato identificato in Giotto di Bondone, che vi compare insieme ad altri pittori umbri e toscani. Il programma iconografico della cappella coinvolse anche la testata del transetto, dove la stessa compagnia di pittori dipinse in due tempi l’episodio dell’Annunciazione e il miracolo di san Francesco venuto in soccorso di un fanciullo morto nel crollo di una casa. Pochi anni dopo lo stesso Napoleone Orsini fece costruire la cappella di San Giovanni sul transetto opposto,  servendosi questa volta di un pittore senese che è stato identificato in Pietro Lorenzetti, e acquistò a Venezia i vetri necessari per le vetrate. Purtroppo la decorazione fu gravemente danneggiata da infiltrazioni d’acqua e si è salvato un trittico murale sopra una nicchia destinata ad accogliere un monumento funebre, nel caso l’Orsini avesse deciso di fissare la sua ultima dimora ad Assisi: morirà ad Avignone e il suo corpo sarà sepolto a Roma.

Le pareti e le vetrate delle due cappelle sono tempestate dall’insegna e dai ritratti dei due Orsini e apparentemente lo stesso stemma era presente anche nel pavimento del transetto. Di conseguenza Napoleone Orsini fu il promotore della decorazione sopra la tomba del santo, come dimostra la divisione del lavoro tra i due pittori attivi all’interno delle cappelle: Giotto e bottega nel transetto settentrionale e crociera, Pietro Lorenzetti nel transetto meridionale. In questi anni Napoleone Orsini aveva accolto nella famiglia cardinalizia fra Ubertino da Casale, un fine intellettuale che aveva appena scritto nel convento della Verna una nuova biografia di Francesco che otterrà l’approvazione ufficiale nel capitolo generale dei frati riunito ad Assisi la Pentecoste del 1305. L’Arbor vitae crocifixae Jesù Christi non è una biografia tradizionale, ma un complesso centone diviso in cinque libri, i primi quattro dedicati alla vita di Cristo dall’incarnazione alla passione, il quinto dedicato al ruolo di alter Christus riconosciuto a Francesco da san Bonaventura, che lo aveva identificato nell’angelo del VI sigillo iniziatore dell’età dello Spirito di cui si parla nell’Apocalisse di Giovanni.

Il libro di Ubertino è la fonte letteraria utilizzata dall’inventore del programma iconografico di questi affreschi: le storie dell’infanzia di Cristo a tramontana, le storie della Passione a mezzogiorno, il Gloriosus Franciscus e le allegorie di Obbedienza, Povertà e Castità nella crociera, il trionfo delle Stimmate di san Francesco un tempo dipinto nella calotta absidale, prima che Cesare Sermei vi dipingesse un Giudizio Finale ispirandosi al Michelangelo della Sistina. La perduta allegoria delle Stimmate nell’abside, che ritraeva Francesco col manto aperto per accogliere i frati sotto la sua protezione; il Francesco risorto dalla morte nella crociera, portato in gloria da angeli festanti ad annunciare l’età dello Spirito; lo sposalizio mistico di Francesco con Madonna Povertà riassumono interi brani del libro di Ubertino. Negli anni seguenti Ubertino sposerà “sine glossa” la povertà evangelica di Francesco e prenderà una posizione in palese contraddizione con la ricchezza ostentata dagli affreschi di Assisi, dove abbondano colori preziosi e un ampio uso di oro in foglia. Ma più che la povertà francescana, questi affreschi rispecchiano la cultura di Napoleone Orsini, nato da una illustre famiglia di baroni romani, legato papale in Toscana al tempo di Clemente V, protettore di frati spirituali come Ubertino da Casale e Angelo Clareno, di mulieres religiosae come Angela da Foligno, Margherita da Cortona e Chiara da Montefalco, mecenate di pittori illustri quali furono Giotto, Pietro Lorenzetti e Simone Martini: un ritratto di Napoleone Orsini in compagnia del fratello Giovanni è riconoscibile nella vela dellObbedianza. Con la morte di Clemente V (+ 1314) e lelezione di Giovanni XXII (1316), si acuirono i contrasti tra gli Spirituali e i frati della comunità: ne scriverà Dante nel canto XII del Paradiso, “Ma non fia da Casal né d’Acquasparta, la onde vegnon tali a la scrittura, ch’uno la fugge e l’altro la coarta”. Le allegorie delle Vele sono di un’epoca anteriore.

Come tutta la decorazione murale di San Francesco, questi straordinari affreschi non sono né firmati né datati. nonostante in tempi molto antichi Lorenzo Ghiberti li avesse ricordati sotto il nome di Giotto - “Dipinse nella chiesa d’Asciesi nell’ordine de’ frati minori quasi tutta la parte di sotto” - salvo la perduta decorazione della tribuna absidale da Ghiberti ritenuta di Stefano Fiorentino - “nella chiesa d’Ascesi, è di sua mano cominciata una gloria fatta con perfetta e grandissima arte, la quale farebbe se fosse stata finita meravigliare ogni gentile ingegno” - e nonostante le stesse notizie fossero ripetute con dovizia di particolari nella vita di Giotto pubblicata nel 1568 da Giorgio Vasari, subito dopo aver descritto le storie della vita di san Francesco nella chiesa superiore:

Finite le sopra dette storie, dipinse nel medesimo luogo, ma nella chiesa di sotto, le facciate di sopra dalle bande dellaltar maggiore, e tutti quattro glangoli della volta di sopra, dove è il corpo di S. Francesco, e tutte con invenzioni capricciose e belle: nella prima è S. Francesco glorificato in cielo con quelle virtù intorno, che a voler esser perfettamente nella grazia di Dio sono richieste; da un lato lUbidienza mette al collo dun frate, che le sta inanzi ginocchioni, un giogo, i legami del quale sono tirati da certe mani al cielo, e mostrando, con un dito alla bocca, silenzio, ha glocchi a Gesù Cristo che versa sangue dal costato; et in compagnia di questa virtù sono la Prudenza e lUmiltà, per dimostrare che dove è veramente lubidienza, è sempre lumiltà e la prudenza che fa bene operare ogni cosa. Nel secondo angolo è la Castità, la quale standosi in una fortissima ròcca, non si lascia vincere né da regni, né da corone, né da palme che alcuni le presentano; apiedi di costei è la Mondizia che lava persone nude, e la Fortezza va conducendo genti a lavarsi e mondarsi. Appresso alla Castità è da un lato la Penitenza che caccia Amore alato con una disciplina, e fa fuggire la Imondizia. Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va coi piedi scalzi calpestando le spine; ha un cane che le abbaia dietro, e intorno un putto che le tira sassi, et un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe; e questa Povertà si vede esser quivi sposata a S. Francesco, mentre Gesù Cristo le tiene la mano, essendo presenti non senza misterio la Speranza e la Castità. Nel quarto et ultimo dei detti luoghi è un S. Francesco pur glorificato, vestito con una tonicella bianca da diacono, e come trionfante in cielo in mezzo a una multitudine dAngeli che intorno gli fanno coro, con uno stendardo nel quale è una croce con sette stelle, e in alto è lo Spirito Santo. Dentro a ciascuno di questi angoli sono alcune parole latine che dichiarano le storie. Similmente oltre i detti quattro angoli, sono nelle facciate dalle bande pitture bellissime e da essere veramente tenute in pregio, sì per la perfezzione che si vede in loro, e sì per essere state con tanta diligenza lavorate, che si sono insino a oggi conservate fresche.

Fin verso l’inizio del XX secolo la storia dell’arte fu scritta ripetendo le parole di Vasari. Dai primi del Novecento ebbe inizio una vivace polemica tra storici dell’arte italiani e stranieri nella ricerca dei pittori coinvolti ad Assisi. La sola certezza si raccolse intorno al nome di Pietro Lorenzetti per le storie della passione di Cristo, grazie all’autorità di Giovanni Battista Cavalcaselle che aveva collegato gli affreschi di Assisi a un polittico nella Pieve di Arezzo firmato e datato 1320. Per le storie dell’infanzia e delle Vele si parlò di un ‘Maestro oblungo’ e di un ‘Maestro  nerastro’, per i quali fu speso il nome di Stefano Fiorentino o di seguaci umbri di Giotto, per poi tornare nella seconda metà del secolo al nome di Giotto, seppure a capo di una nutrita bottega. Per i tempi di esecuzione si spaziò dal primo al quarto decennio del ‘300, anche se oramai la data generalmente accolta è tra il primo e il secondo decennio del ‘300, che nel caso delle Vele può essere anticipata a prima dell’agosto 1311, quando in seguito a un violento acquazzone estivo i frati protestarono vivacemente con il Comune perché la chiesa si era riempita di acqua, costringendo i pittori a interrompere precipitosamente il lavoro, come risulta dagli affreschi incompiuti alla base dei costoloni. Giotto non tornò più ad Assisi e pochi anni dopo i lavori furono ripresi da Pietro Lorenzetti, una volta ultimata la cappella di San Giovanni. La sola notizia documentaria sulla presenza di Giotto ad Assisi è del gennaio 1309: data singolarmente vicina a quella proposta per questi affreschi, nei quali sono riconoscibili le stesse “mani” presenti ad Assisi nella cappella di San Nicola e in quella della Maddalena: la mano di Giotto e dei suoi più stretti collaboratori.

La mano di Giotto